Per gli amanti e gli studiosi coatti dell'urbis et orbis lingua

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  1. tristanotradito
     
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    Questa nuova discussione rientra a pieno titolo nella categoria del mutuo soccorso tra colleghi ma, mi permetto di osservare, a titolo ben altrimenti elevato, trattandosi infatti di discutere insieme di problemi sintattici e semantico-estetici della letteratura latina.

    Per primo e come prima cosa, sottopongo alla dotta attenzione dei miei colleghi i seguenti versi lirici di Orazio:

    Carm. III.4.9-20

    Me fabulosae Volture in Apulo
    nutricis extra limina Pulliae 10
    ludo fatigatumque somno
    fronde nova puerum palumbes

    texere, mirum quod foret omnibus
    quicumque celsae nidum Aceruntiae
    saltusque Bantinos et arvum 15
    pingue tenent humilis Forenti


    ut tuto ab atris corpore viperis
    dormirem et ursis, ut premerer sacra
    lauroque conlataque myrto,
    non sine dis animosus infans .



    Il luogo che mi interessa è quello colorato in rosso come l'Arbia.
    Alla mia ancora acerba esperienza di filologo classico si presenta traducibile in ben due modi, a seconda che consideri teneo (v.15 tenent) tra quei verbi che ammettono l’accusativo dell'oggetto e del luogo (v. Tantucci, Urbis et orbis lingua, § 21 della sez. sintassi) - per cui si tratterebbe appunto di 'accusativi di luogo', anche se coordinati a un normale locativo (celsae...Aceruntiae v.14) - o consideri i medesimi accusativi come semplici oggetti di teneo, e quindi coordinati a nidum (v. 13):


    Nel primo caso tradurrei:

    "perciò era meraviglia a tutti [omnibus, dativo di possesso: "tutti avevano meraviglia"]
    gli esseri [quicumque: brutto da rendersi con "coloro che", trattandosi d’animali] che tengono il nido nell’alta Acerenza,
    nei boschi bantini e nella fertile
    pianura della bassa Forenza,

    che dormissi col corpo al sicuro dalle nere vipere
    e dagli orsi, che fossi coperto dal sacro
    alloro e insieme dal mirto,
    bambino coraggioso non senza (la protezione degli) dèi".

    Nel secondo:


    "perciò avevano meraviglia tutti
    gli esseri che tengono il nido nell'alta Acerenza,
    (tengono) i boschi bantini e la fertile
    pianura della bassa Forenza".

    Gli altri quattro versi non pongono problemi.











    Edited by tristanotradito - 9/9/2006, 18:37
     
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  2. I.ntru.sa
     
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    Io propendo per la seconda, anche perchè i verbi di cui parli sono composti con preposizioni che si uniscono all'accusativo (nei complementi di luogo): trans, circum, etc.
    "Tenent" nel senso che "occupano" quei luoghi, normali oggetti.
     
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  3. tristanotradito
     
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    Perfetto.

    Avevo tenuto presente la prima possibilità, seppur con riserva, giusto perché la totalità delle traduzioni che ho consultato (anonime, certo) è così che risolve.

    E' sempre un piacere beneficiare della tua solerzia, Intrusa, peccato non riscontrarne altrettanta nei miei colleghi filologi.

     
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  4. Fucktotum
     
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    Non so se mi faccia più specie l'assenza di una qualunque preposizione (pure prefissale, va', quello che sia!) che giustifichi l'accusativo, o l'assegnare stessa funzione a casi opposti.

    Però che peccato, mi sento proprio ignorante.
     
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  5. tristanotradito
     
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    Caro non mi è chiara l'osservazione.
    Ti fa specie che io abbia potuto credere di assegnare a un accusativo (e contemporaneamente, come è legittimo, a un locativo propriamente detto) il valore locativo? Se sì sono d'accordo: ha fatto tanta specie anche a me (e infatti ho sfogliato il Tantucci per scovare un cavillo grammaticale come quello dei verbi che reggono l'accusativo dell'oggetto e del luogo, tipo: "Cesare condusse i cavalli per il ponte", pur prendendolo con mille molle). Ma ripeto, molti traduttori hanno reso proprio così il testo in italiano.

     
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  6. Fucktotum
     
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    Ma no, Antò, per l'amor di dio...

    Riformulando:
    alla mia sensibilità appare mostruoso che si possa tradurre in quel modo. Ancora più mostruoso mi pare che nel pensare una risposta io faccia appello a una mia ipotetica "sensibilità" piuttosto che a conoscenze serie.

    Ero severo, sì,
    ma con me.
     
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  7. tristanotradito
     
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    Un altro frammento alla vostra attenzione (soprattutto di quelli che hanno già sostenuto l'esame con la Vyp@r€lly):

    Lucilio, vv. 181-188 (ed. Marx)

    Quo me habeam pacto, tam etsi non quaeris, docebo
    quando in eo numero mansi quo in maxima non est
    pars hominis ...
    ut perisse velis, quem visere nolueris, cum
    debueris. Hoc «nolueris» et «debueris» te
    185
    si minus delectat (quod atechnon) et eissocratium
    lerodesque simul totum ac si miraciodes
    non operam perdo, si tu hic…
    .

    Gradirei la vostra consulenza rispetto alle quattro questioni seguenti:

    1) Ho qualche dubbio sulla natura dell'ut (v. 184): mi sembrerebbe concessivo, e dipendente dalla causale quando in eo numero mansi (v. 182). Ma il mutilo verso precedente potrebbe occultare tanto un'ulteriore (e quindi effettiva) reggente di una concessiva tanto la reggente di una consecutiva (molto meno probabilmente). Potrebbe quindi leggersi tanto "sebbene vorresti che fosse morto" quanto "(tanto) che vorresti che fosse morto".

    2) I due congiuntivi perfetti nolueris e debueris (vv. 184-185) sono tali per attrazione modale, appartendendo rispettivamente a subordinate di 2° (la relativa, che diventa di 3° però, se la reggente è davvero la causale del v. 2) e 3° grado (concessiva, che diventerebbe di 4°, per lo stesso discorso) ed essendo il verbo di quella di 1° (o 2°), al congiuntivo.

    3) Si minus (v. 186), sembra assolvere alla funzione che nel latino classico spetterà al si non. Si minus dovrebbe usarsi solo quando il contrapposto manchi del verbo: "si venis, bene; si minus, patientia" (esempio mio). Ma probabilmente non è il caso di spaccare il pelo in quattro essendo Lucilio un autore preclassico.

    4) Ho incertezze di traduzione (perché purtroppo non conosco il greco - come Dante, del resto - e per mancanza dei dizionari in mio possesso) riguardo ad: atechon (che potrei immaginare significhi: "non (o poco) artistico" o cose del genere; eissocratium (che potrebbe avere a che fare con Isocrate lo storico) e i plurali (?) lerodes e miraciodes.

    Questa è la traduzione che, fermi restanti i dubbi, do:

    "In che maniera io mi comporti, sebbene tu non lo chieda, ti mostrerò
    dal momento che sono rimasto nel numero nel quale non è la maggior
    parte dell'uomo (degli uomini) [...]
    sebbene vorresti (o: che vorresti) che fosse morto, chi non volesti visitare, quando
    avresti dovuto. Se questo 'non volesti' e 'avresti dovuto' non
    ti diletta (perché 'poco artistico') o isocratico
    e lerodes insieme a tutto e se miraciodes
    non perdo l'impiego, se tu qui [...]"
     
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  8. tristanotradito
     
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    Ho consultato un ottimo grammatico (D.V.). Interesserà a tutti:

    1) «Più probabilmente consecutivo, per una ragione elementare: ut complementare di carattere consecutivo o finale è più frequente; preferendosi in latino, a livello stilistico, concessive con congiunzioni meglio connotate, tipo quamquam, etsi, tamenetsi, tametsi etc etc» (D.V.)

    4) «Lerodes e miraciodes significano rispettivamente: ‘ciarliero’ e ‘puerile’, con il caratteristico suffisso -odes. Sono due termini tecnici della retorica antica. Composti con la radice di vedere (che è *wid, appunto, la stessa del latino uideo, con varie vicissitudini fonetiche). Nel linguaggio tecnico-retorico e critico-letterario antico connotano qualcosa che ha l'eidos di (eidos, sempre da *wid: ‘aspetto, specie, forma stilistica’): per es. dithyramb-odes: ‘che sembra ditirambico’, dallo stile variegato e poetico; myth-odes: ‘che sembra favoloso’, ‘narrazione dall'aspetto fantastico’. Lerodes e Meirakiodes (la dizione miraciodes è itacistica: il dittongo ei all'epoca di Lucilio nel mondo greco-latino era pronunciato i come ancora oggi nel neogreco), sono due caratteristiche dello stile fiacco e debole, che si sforza di apparire chi sa che, ma ricade nel balbettante-ciarliero o nel puerile. Atechnon, altro termine tecnico significa: ‘espressione scevra di ornato della techne’, dunque ‘poco artistico’. Propriamente si riferisce a ogni scritto o discorso o poesia che sia: ametrico, non ornato, sciatto» (D.V).
    Eissocratium vuol dire 'relativo a Isocrate', il retore e storico (la sua era una storiografia morale e propagandistica).
     
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7 replies since 9/9/2006, 17:14   1695 views
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