OTTAVIA

300 anni fa...

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  1. Lohengrin80
     
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    alla chiesa di santa caterina da Siena, sede del Centro di musica antica Pietà dei Turchini, dopo 300 anni, eseguiranno, in forma di concerto, la prima opera di Domenico Scarlatti, Ottavia...
    domenica 11 novembre 2007 ore 20 30, il biglietto nn dovrebbe costare più di 10 euro, e per i giovani ci dovrebbero essere degli sconti
    come raggiungere la chiesa, con begli affreschi, usciti dalla funicolare centrale alla fermata del corso vittorio emanuele, attraversare le scale, e scendere per le prime scale che vedrete...
    io ci sarò...
    sarà un'orgia di clavicembalo, di settecento... lo spero... e poi Domenico Scarlatti compare anche nel romanzo di Saramago, Il memoriale del convento...



    domenica 11 novembre ore 21.00
    Centro di Musica Antica, Chiesa di Santa Caterina da Siena , Napoli
    OTTAVIA
    DI DOMENICO SCARLATTI


    Neone: Filippo Mineccia contralto
    Ottavia: Yolanda Auyanet soprano
    Poppea: Maria Grazia Schiavo soprano
    Floro: Maria Ercolano,soprano
    Rosilda: Valentina Varriale soprano
    Belisa: Giuseppe De Vittorio tenore
    Dorillo: Paolo Lopez sopranista

    Antonio Florio direttore

    Alessandro Ciccolini violino I
    Patrizio Focardi violino
    Barbara Altobello violino
    Yayoi Masuda violino
    Marco Piantoni violino II
    Nunzia Sorrentino violino
    Massimo Percivaldi violino
    Rosario Di Meglio viola
    Krishna Nagaraja viola
    Alberto Guerrero violocello
    Rebeca Ferri violoncello
    Giorgio Sanvito contrabbasso
    Elena Bianchi Fagotto
    Alejandro Casal cembalo
    Gabriele Palomba tiorba



    LA PRIMA OPERA DI DOMENICO SCARLATTI



    Domenico Scarlatti (Napoli 1685-Madrid 1757), celebre per le sue 555 sonate per tastiera, è uno dei più grandi musicisti della storia della musica europea. Infatti l’Anno Europeo della Musica, nel 1985, fu dedicato ai tre colossi della cultura europea nati nello stesso anno, i tedeschi Bach e Haendel e appunto il napoletano Domenico Scarlatti. Ma quest’ultimo non ha goduto dei frutti straordinari che hanno invece collocato i due compositori germanici tra i preferiti del pubblico di tutto il mondo nei vent’anni successivi: Scarlatti attende ancora la sua vera riscoperta. L’occasione giusta è forse arrivata nel 2007 con le celebrazioni del 250° anniversario della morte di Domenico, che saranno particolarmente intense in Spagna (patria adottiva del musicista negli ultimi trent’anni della sua vita) e nel resto del mondo dall’Italia al Giappone. Tra le tante iniziative celebrative la ricostruzione e riproposizione scenica della prima opera lirica composta dal giovane Domenico Scarlatti a Napoli è un evento di eccezionale importanza, probabilmente il più innovativo e interessante dell’intero panorama internazionale.



    GLI INIZI DELLA CARRIERA DI DOMENICO SCARLATTI



    Domenico era il sesto dei dieci figli del grande compositore Alessandro Scarlatti (1660-1725), nato a Palermo e vissuto a Roma, il quale nel 1683 si trasferì definitivamente a Napoli diventando il più importante compositore d’opera europeo dei suoi tempi. Napoli nel momento in cui vi nacque Domenico conosceva un’epoca di splendore artistico e culturale, grazie all’illuminato governo del viceré marchese Del Carpio: quest’ultimo portò in città gli artisti più rappresentativi del barocco romano, scenografi pittori e decoratori, e come musicista Alessandro Scarlatti accompagnato da cantanti e virtuosi di strumenti. Napoli abituata alle proprie orgogliose tradizioni autoctone, per la prima volta conobbe un movimento artistico internazionale e le sue energie di capitale si risvegliarono. I palazzi e le chiese si rinnovarono ed abbellirono ed anche le stagioni d’opera si intensificarono attirando nobili spettatori da molto lontano. In estate, durante le passeggiate al mare di Posillipo, i napoletani assistevano a spettacoli straordinari, come le serenate scritte da Alessandro con centinaia di esecutori, giochi d’acqua e fuochi artificiali. In questo clima effervescente, stimolato anche da grandi pittori come Luca Giordano e dagli intellettuali delle accademie napoletane, Domenico fu avviato presto alla carriera musicale, studiando il clavicembalo e la composizione (forse con Gaetano Greco o più probabilmente con il maestro di questi Francesco Provenzale), e già prima di compiere 16 anni fu in grado di entrare nel settembre 1701 come organista sovrannumerario nella principale istituzione musicale di Napoli, la Real Cappella, diretta dal padre Alessandro. Contemporaneamente Domenico svolgeva anche l’incarico di clavicembalista privato del viceré di Napoli. Come prova di ammissione alla Real Cappella nello stesso 1701 Domenico scrisse la sua prima composizione sacra, il mottetto Antra valles per 5 voci e strumenti, recentemente ritrovato a Napoli. Secondo alcuni studiosi (Kirkpatrick, Boyd) tra le 555 sonate copiate a Madrid negli ultimi decenni della sua vita, alle quali Domenico deve giustamente la sua celebrità, ve ne sono alcune (per organo) che riflettono gli anni giovanili trascorsi a Napoli e a Roma come organista e compositore di musica sacra. Esistono anche alcune cantate da camera, tra le 60 composte da Domenico Scarlatti, che recano date molto precoci, dal 1701 al 1705, corrispondenti al suo esordio professionale a Napoli (altre datate negli ultimi anni del secolo XVII non sembrano credibili e sono forse da assegnare al padre Alessandro). Gli specialisti scarlattiani hanno invece sempre sottovalutato l’importanza delle prime opere composte da Domenico a Napoli, giudicando troppo frammentarie le fonti e troppo evidente l’influenza del padre Alessandro in campo operistico. Vedremo che questi due pregiudizi non corrispondono a verità.

    L’OTTAVIA RISTITUITA AL TRONO (1703)

    Le relazioni tra Alessandro e Domenico Scarlatti appaiono molto complesse dal nostro osservatorio di oggi. Il più grande operista del suo tempo, Alessandro, non poteva che preparare per il figlio di cui aveva subito capito il talento una carriera simile alla sua, basata sulla musica vocale. Roberto Pagano ha interpretato queste relazioni alla luce del “sistema di parentela” tipico della arcaica società meridionale italiana (la cui forma più esasperata è la “famiglia” della mafia): Alessandro cercò sempre, secondo Pagano, di decidere per Domenico fino al momento in cui quest’ultimo fuggì il più lontano possibile dal padre, trasferendosi dal 1720 a Lisbona e poi per sempre in Spagna e dedicandosi esclusivamente alla musica strumentale nell’ultima parte della sua vita. Secondo questa teoria Domenico i melodrammi e le cantate scritte in età giovanile servivano come apprendistato e carta di presentazione che Alessandro intendeva usare per cercare un lavoro importante per il figlio in qualche corte europea. Infatti nel 1702, subito dopo la visita del re di Spagna Filippo V alla città di Napoli, festeggiata con importanti spettacoli musicati da Alessandro, padre e figlio ottennero una licenza dalla Real Cappella per recarsi a Firenze, dove egli sperava di fare assumere Domenico (“un aquilotto cui sono spuntate le ali”) dal granduca Ferdinando de Medici. Ma il progetto fallì e dopo pochi mesi Domenico tornò da solo a Napoli per non perdere il suo posto di lavoro di organista, mentre Alessandro preferì accettare un modesto posto in una cappella romana. Il sistema di parentela tuttavia funzionava abbastanza bene: uno zio di Domenico, Nicola Barbapiccola marito di Anna Maria Scarlatti, era divenuto impresario del teatro d’opera di Napoli, il San Bartolomeo, e fu così possibile per il diciassettenne Scarlatti ricevere l’incarico di scrivere le sue prime opere liriche. Nel novembre 1703 egli fece rappresentare infatti al San Bartolomeo L’Ottavia ristituita al trono Melodrama dell’Abb. Giulio Convò e poco dopo, il 19 dicembre nel teatro del Palazzo Reale Il Giustino, rielaborazione sempre dell’abate Convò di un testo di Beregan messo in musica a Venezia da Legrenzi e per l’occasione arricchito con nuove arie di Domenico Scarlatti. Infine nel carnevale 1704, al San Bartolomeo, fu allestita L’Irene, ancora un’opera veneziana musicata da Pollarolo (testo di Roberti anche in questo caso rivisto da Convò) in cui furono inserite le nuove arie di Domenico. Si tratta di un exploit davvero notevole per un giovane compositore esordiente, che si giustifica naturalmente con il peso del nome di famiglia, ma che testimonia anche della stima nei confronti del giovane Domenico. Contrariamente a quello che si può credere, l’inserimento di tutte le arie di nuova composizione (su testi modificati per l’occasione da Convò) rende questi primi esperimenti delle vere opere scritte da Scarlatti, non soltanto arrangiamenti di partiture preesistenti. Dopo questo felice esordio tuttavia ecco il colpo di scena: improvvisamente Domenico Scarlatti nel gennaio 1705 abbandonò Napoli per sempre: forse perché fu ridotta la sua paga a corte o perché la nomina di un nuovo maestro della Real Cappella, Gaetano Veneziano, non consentiva più al padre di esercitare la sua protezione sul figlio. Domenico partì insieme al celebre cantante castrato Nicolino Grimaldi alla volta di Venezia (dove conobbe tra gli altri Gasparini) e poi di Roma, dove fu opposto ad Haendel in una celebre competizione alla tastiera organizzata dai nobili romani che proteggevano il Sassone. In tutta questa prima fase della vita di Domenico la musica vocale svolse un ruolo fondamentale, e sappiamo da documenti recentemente ritrovati che ancora negli anni romani prima del 1720 egli si esibiva anche come cantante al cembalo. Ma torniamo alla sua prima opera a Napoli.

    Nel novembre 1703 Domenico fece dunque il suo esordio come operista sulle scene di Napoli. Il libretto dell’opera scelta dallo zio impresario, L’Ottavia ristituita al trono, era dedicato da Barbapiccola a Catarina de Mendoza Sandoval contessa di Santo Stefano di Gormaz, con un linguaggio ambiguo che paragona il ritorno sul trono di Ottavia all’esordio dello stesso impresario al San Bartolomeo (“acciò con tal mezzo possa degnamente farmi conoscere”) ma che sembra piuttosto riferirsi all’esordio di Domenico, quasi che la fama del genitore illustre lo avesse precedentemente tenuto nell’ombra. Anche la trama male si giustifica con la celebrazione di una principessa ereditaria spagnola. Donna María Catalina Osorio de Moscoso y Benavídes (1674-1726) aveva sposato nel 1699 Mercurio Antonio López Pacheco Manrique de Lara y Silva, Marqués de Villena, conte di Santo Stefano di Gormaz e futuro Duque de Escalona e Marques de Aguilar. Si tratta di un personaggio di primaria grandezza nella corte di Spagna: capitano de las Guardias de Corps e Mayordomo Mayor del Rey Don Felipe V. La terza opera di Domenico Scarlatti, Irene, sarà dedicata appunto al marito di Donna Catalina, il conte di Santo Stefano di Gormaz, parente dell’ultimo viceré di Napoli, Juan Manuel Fernández Pacheco Cabrera.



    Nella Gazzetta di Napoli del 27 Novembre 1703 apparve l’annuncio della prima rappresentazione dell’opera di Domenico Scarlatti, ma senza riferimento al nome del compositore:



    “La settimana passata s’incominciarono a rappresentar le commedie in questo Teatro di S. Bartolomeo, intitolandosi questa prima, Ottavia restituita al Trono, che riesce assai dilettevole.”



    Non abbiamo altre informazioni dirette sulla rappresentazione dell’opera, che però evidentemente ebbe successo tanto che Domenico Scarlatti fu incaricato di comporre altre due opere nei due mesi successivi. Non conosciamo neppure i nomi dei cantanti che l’interpretarono, perché non compaiono nelle uniche due copie superstiti del libretto del 1703 (conservate nelle biblioteche italiane di Bologna, Universitaria e di Roma Santa Cecilia). La musica dell’ Ottavia ristituita era considerata perduta da molti biografi di Domenico Scarlatti. Ne esiste invece una fonte preziosa presso la Biblioteca del Conservatorio di Napoli (collocazione 32-2-33) che raccoglie ben 34 arie (la quasi totalità) dell’opera con il titolo: Arie con stromenti dell’Opera intitolata Ottavia restituita al Trono del Sig.r Domenico Scarlatti. Le arie sono copiate da una mano di primo Settecento che compare spesso in manoscritti associati alla Cappella Reale di Napoli, i cui musicisti intervennero probabilmente come esecutori al San Bartolomeo. La maggior parte delle arie è per soprano, qualcuna per alto e due deliziosi duetti (per 2 soprani, Stelle agitatemi e per soprano e alto Se l’alma non t’adora) completano la fonte. Si tratta dunque di un materiale più che sufficiente per poter ricostruire la partitura di esecuzione, perché erano proprio le arie a personalizzare lo stile di un compositore, mentre i recitativi erano lasciati perlopiù all’improvvisazione di un secondo o terzo maestro al cembalo. Anche l’assenza di una sinfonia iniziale non preoccupa perché fortunatamente lo stesso Domenico Scarlatti ha curato una raccolta di sue sinfonie in un manoscritto alla Bibliothéque Nationale di Parigi dal quale è stata ricavata la Sinfonia in Sol (Allegro-Grave-Allegro) utilizzata in questa edizione.

    Il maestro Antonio Florio ha potuto così ricostruire con sicurezza la partitura della prima opera di Domenico Scarlatti, che costituisce un documento di interesse storico eccezionale ma anche di straordinaria bellezza artistica. Grazie ad oltre venticinque anni di esperienza diretta della scrittura musicale dei maestri barocchi napoletani, Florio ha potuto scrivere come se si trattasse di un maestro dell’epoca tutti i recitativi e le parti buffe mancanti, grazie anche al supporto competente di Alessandro Ciccolini.

    L’Ottavia è a nostro avviso un’opera di importanza primaria non solo per ricostruire gli esordi della carriera di Domenico Scarlatti a Napoli, che sono stati oscurati in tutte le biografie dall’importanza del padre Alessandro, ma anche per il tema scelto in questo melodramma dall’abate Giulio Convò. Si tratta infatti di una rara versione che continua – come un sequel cinematografico – la celebre storia romana degli amori di Nerone e Poppea, oggetto nel Seicento della versione musicale ad opera di Claudio Monteverdi: L’incoronazione di Poppea fu tra l’altro una delle prime opere rappresentate a Napoli e il mito di Nerone si collega fortemente alle tradizioni partenopee. Pensiamo che Alessandro Scarlatti compose pochi anni prima della Ottavia una cantata intitolata Nerone (manoscritto nella Biblioteca Nazionale di Parigi). Teniamo in considerazione anche il fatto che intorno al 1702 a Palermo era stata rappresentato sullo stesso soggetto dell’Incoronazione un Ripudio di Ottavia (probabilmente con la stessa musica di Pollarolo usata per la prima a Venezia nel 1699. Nel sequel ideale della Incoronazione di Poppea concepito da Convò, l’imperatrice Ottavia, ripudiata alla fine della storia precedente, viene richiamata a corte da Nerone sotto la pressione delle rivolte popolari e, allontanata questa volta Poppea (personaggio più umano e meno negativo), può tornare a regnare su Roma. E’ straordinario osservare che dopo pochi anni un grande collega di Domenico Scarlatti, Georg Friedrick Haendel, subito dopo il suo viaggio a Napoli nel 1708, scriverà una terza parte di questa saga, L’Agrippina, vero e proprio prequel della storia trattando della madre di Nerone. Il crudele imperatore che era stato trasformato in un personaggio innamorato e quasi positivo dal librettista di Monteverdi, Busenello, per l’ Incoronazione, era del resto molto popolare a Napoli anche perché secondo gli storici romani Nerone considerava i napoletani il suo pubblico ideale e amava esibirsi con la lyra nell’arena della città, suo luogo di villeggiatura prediletto. Un Nerone fatto Cesare, dopo la versione di Perti del 1693, era stato musicato da Alessandro Scarlatti nel 1695 e quest’ultimo compositore aveva anche scritto una cantata per soprano e basso continuo intitolata Nerone che inizia con le parole “Io son Neron imperator del mondo” (manoscritto nella Bibliothéque Nationale de France). Tutto questo senza considerare la vera e propria moda di soggetti romani antichi che imperversava sulle scene operistiche di Roma negli stessi anni, soprattutto grazie al librettista arcade Silvio Stampiglia. Nel solo anno precedente l’Ottavia, nel 1702, lo Scarlatti padre aveva musicato Tito Sempronio Gracco e poi Tiberio Imperatore d’Oriente. In quegli anni l’orchestra della Real Cappella, che suonava regolarmente per le opere al San Bartolomeo, era costituita da 18 elementi: 8 violini (Pietro Marchitelli, Gian Carlo Cailò, Francesco Mirabella, Giovanni Sebastiano, Andrea Binda, Baldassarre de las Infantas, Giuseppe Grippa, Giuseppe Avitrano), 2 viole (probabilmente violoncelli: Rocco Greco e Giulio Marchetti), 1 contrabasso (o violone: Nicola Pagano), 1 arpa (Francesco De Rise) e 4 clavicembalisti/organisti (Gaetano Veneziano, Cristoforo Caresana, Andrea Basso e Domenico Scarlatti). Assai simile è la proporzione scelta dalla Cappella della Pietà dei Turchini per questa ricostruzione, che consentirà per la prima volta di assistere alla Ottavia ristituita dopo 304 anni.

    Dinko Fabris



    LA TRAMA



    La dedica dell’impresario Barbapiccola alla Contessa di Santo Stefano di Gormaz, col riferimento alla caduta e alla nuova ascesa al trono di Ottavia sulle scene teatrali, sembra riferirsi al clima incerto della guerra di successione spagnola allora in corso, che si risolse soltanto nel 1707 con la fine del dominio di Spagna su Napoli e l’arrivo dei nuovi viceré austriaci. La recente presenza del re Filippo V a Napoli, solo pochi mesi prima, era del resto eloquente della necessità di rafforzare l’immagine del potere imposta dai viceré anche al teatro d’opera di quei difficili anni.

    La trama è così riassunta nell’ Argomento inserito nel libretto del 1703:


    “Essendo Poppea dalle lascivie di Nerone condotta al Trono, seguito prima il ripudio, e la relegazione d’Ottavia in campagna, ribellossi il Popolo Romano, endo Nerone non potendo giugnere a placare i sediziosi tumulti della Plebbe fu necessitato a ripudiar di nuovo Poppea, e restituir la già ripudiata Ottavia al Soglio.

    Il tutto nell’Agrippina minore di Francesco dei Conti Berardi…”



    I personaggi dell’opera sono:

    Nerone Imperator di Roma (alto leggero)

    Ottavia sua sposa ripudiata (soprano acuto di agilità ma dall’intensità drammatica)

    Poppea sposa del detto [Nerone] (soprano leggero)

    Floro Prencipe d’Epiro (soprano con scrittura virtuosistica)

    Rosilda sua sposa (soprano tendente al registro centrale di mezzo)

    Inoltre due personaggi comici:

    Belisa Balia d’Ottavia, poi serva di Poppea (secondo la tradizione degli intermezzi comici napoletani, interpretata da un uomo en travesti)

    Dorillo servo scaltro di Floro (soprano)



    La storia è molto semplice e lineare ma a complicarla sono, come sempre nel teatro musicale napoletano, i travestimenti e le conseguenti incomprensioni. Strategica è dunque la finzione per cui Ottavia travestita da pastorella non è riconosciuta inizialmente neppure da Nerone e Floro nega alla stessa moglie Rosilda la sua identità. La presenza del popolo furioso che distrugge la statua di Poppea dopo che Nerone l’aveva fatta innalzare al posto di quella di Ottavia è forse ancora un’eco dei sollevamenti popolari che giungevano dalla penisola iberica.



    Il primo atto si apre a Roma sul “Campidoglio festivamente apparato con Trono, nel mezzo del quale si vedranno le statue di Ottavia, e Nerone”. Dopo aver operato lo scambio di statue, cominciano già i tumulti dei romani ed è possibile apprezzare il carattere modesto e generoso con cui il librettista ha voluto ritrarre Poppea, a differenza del giudizio comune su questo personaggio.

    Anche Nerone è inizialmente raffigurato come un pacifista generoso, che accoglie da pari il principe di Epiro Floro, reduce da un naufragio mentre si recava al tempio di Venere con la sposa, e gli assegna un ruolo nelle sue truppe. Floro tuttavia intuisce presto che lo sguardo che l’imperatore posa sulla moglie Rosilda è assai meno disinteressato e pieno di lascivia, e per difenderla la presenta come una pellegrina tacendo di esserne lo sposo. Anche Poppea si accorge subito delle intenzioni di Nerone per la nuova arrivata eppure sembra quasi accondiscendere alla irrefrenabile brama di possesso del marito, nonostante l’innata gelosia, che sembra piacere a Nerone. L’atto si chiude con la scenetta comica, abituale fin dal Seicento nell’opera napoletana, della vecchia serva Balisa che si crede ancora bella e corteggia il giovane servo Dorillo da cui è schernita e maltrattata.

    Nel secondo atto si insiste sull’atteggiamento voglioso di Nerone nei confronti non solo di Rosilda ma anche di una nuova donna arrivata in scena travestita da pastorella, che non è altri che la moglie ripudiata Ottavia ma che lui non riconosce. Inutilmente Floro chiede ragione di tanta leggerezza all’imperatore (“e l’amor di Poppea?”). La personalità leggera di Nerone, vero “farfallone amoroso” progenitore dei personaggi mozartiani, è espressa nell’aria:



    Come l’ape intorno ai fiori,

    và il mio cor per ogni bella,

    né si smortano gli ardori

    adorando e questa, e quella.



    Quando Nerone torna ad assediare la bella Rosilda, Floro comprende che deve ancora nascondere la verità ma coraggiosamente ferma l’imperatore: provvidenzialmente giunge Poppea che accusa il marito di tradimento mentre Rosilda rimprovera il suo Floro di ingannarla. Ancora una volta torna la scenetta comica di Belisa e Dorillo in cui la vecchia continua a paragonarsi a una ragazza e il servo a chiamarla brutta e pazza. L’atto secondo si chiude con una citazione quasi letterale della scena del sonno e tentato omicidio di Poppea dell’Incoronazione di Poppea: infatti Ottavia scopre Poppea addormentata e tenta di colpirla ma giunge in tempo a salvarla Nerone, subito accusato di tradimento da Poppea che considera l’episodio un sogno premonitore più che realtà. Intanto Floro mette in guardia contro Nerone Rosilda e poi accetta di aiutare Ottavia che ha sentito le sue frasi contro l’imperatore ma è ancora vestita da pastorella.

    L’ultimo atto comincia con Ottavia che svela a Floro la sua vera identità e si mostra questa volta vestita da guerriera partendo alla ricerca di Poppea con l’aiuto di Belisa, mentre Nerone è sempre più preoccupato per i tumulti del popolo romano. Ancora una volta Ottavia tenta di uccidere Poppea, che la crede un soldato armato, e comincia un insolito duello di donne, in cui ciascuna svela il proprio forte carattere:



    Ottavia: Ottavia sono, e perché fui tradita,

    involar ti saprò l’alma e la vita.

    Poppea: Stolta, ne l’alma mia

    mai seppi ricettar la codardia.

    Nerone è totalmente sconfortato dalla notizia che il popolo è ormai in piena rivoluzione e a questo punto Poppea, con grande generosità, lascia la corona e le insegne imperiali e si ritira da sola dal suo rango rinunciando al marito, esprimendo il suo dolore nella sua ultima aria (“Se pria di lusingarmi”). Floro finalmente può confessare la verità a Rosilda mentre Ottavia abbraccia Nerone riprendendo il suo posto di moglie e di imperatrice, tra lo giubilo generale dei romani che fermano la rivoluzione: nel concertato finale tutti i protagonisti (compresa Poppea) dichiarano che il vero trionfatore della storia è il Dio d’Amore, che ancora una volta è superiore ad ogni mortale.









     
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  2. Lohengrin80
     
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    un'orgia...
     
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1 replies since 9/11/2007, 18:15   2542 views
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